Ricordate la vecchia polemica su “CON LA CULTURA NON SI MANGIA”? Pare che il lapidario aforisma non rispecchiasse appieno il pensiero di chi lo pronunciò, ma, tant’è, gli rimase addosso per sempre come esempio di grettezza e scarsa lungimiranza.
Ma francamente anche i sostenitori della opposta fazione, quelli che “CON LA CULTURA SI MANGIA” sembrano peccare di limiti di visione perché il valore della cultura per un territorio va ben oltre l’aspetto economico, pur inglobandolo. Di cultura si vive, questo è certo. Perché cultura sono le radici, cultura è appartenenza , tradizione, senso, ma cultura è anche innovazione, rottura, futuro.
Fin qui tutti slogan. Veniamo ai fatti.
Quando più di 20 anni fa in Cambogia con il programma europeo Asia Urbs, lavorando con gli operatori locali cambogiani, vedemmo sorgere sotto i nostri occhi un ecovillaggio, composto delle tradizionali abitazioni delle campagne del sud est asiatico, che promuoveva un turismo di piccoli numeri (sostenibile diremmo oggi) rispettoso della cultura tradizionale come alternativa al turismo di massa dei mega alberghi di Siem Reap e Phnom Penh totalmente in mano ai capitali stranieri, cinesi e americani, avemmo un chiaro esempio di come la cultura, e non solo la cultura alta rappresentata negli straordinari monumenti di Angkor Wat, ma quella che era espressione del popolo, delle sue tradizioni artigianali, del suo modo di vivere e consumare, delle sue danze e della sua musica, avesse un enorme valore per un’evoluzione economica di quella terra, che il turismo internazionale stava depredando più che arricchendo.
Con la cultura, cioè valorizzando ciò che si è, ciò che si ha e ciò che si sa fare, nel rispetto di se stessi e della propria storia, si può muovere profondamente anche l’economia. Dalla cultura un laboratorio di nuove abilità, potremmo dire parafrasando il felice slogan di Rockability.
Quando Luciano Giacché già docente di Antropologia dell’Alimentazione alla Facoltà di Agraria di Perugia e Direttore del CEDRAV (Centro per la Documentazione e Ricerca Antropologica in Valnerina e nella dorsale appenninica umbra), un uomo che tutto ha capito dei possibili modelli di sviluppo della Valnerina già dagli anni ’70, ci parla del disagio e del fastidio di veder vendere nei luoghi del turismo religioso un’oggettistica devozionale di provenienza cinese, di non pregevole fattura, e si rammarica che non si sia riusciti a promuovere un artigianato locale bello e di qualità, mette il dito su una piaga storica. Francamente passi in avanti sono stati fatti, ed è evidente lo sforzo di taluni imprenditori locali per accontentare anche un pubblico dal palato più raffinato, ma il problema è proprio la mancanza di prodotti di qualità.
Anche a queste finalità serve la cultura.
Nell’ambito del progetto Rockability, abbiamo incontrato recentemente l’archeologa Francesca Diosono, appassionata cultrice della storia antica della Valnerina, che ci ha descritto questi territori dell’Alta Sabina, luoghi di transito e di scambi commerciali di straordinaria rilevanza nell’antichità, terre di confine, ed abbiamo compreso che importanti non sono solo i bronzetti della Valle Fuino (scoperti nel 1794 a seguito di un nubifragio nella valle tra Civita e Cascia, datati VI-V sec. a.C. ed ora in gran parte conservati nei Musei Vaticani) , ma importante è la comprensione profonda di questa storia, l’orgoglio, il senso di appartenenza, la volontà di proteggere e valorizzare gli oggetti del proprio passato per rendere comprensibile il presente non a fini meramente turistici.
Questo è anche il senso della Convenzione di Faro (la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, adottata a Faro, in Portogallo, il 27 ottobre 2005) recentemente sottoscritta anche dal Parlamento italiano, che propone un concetto di patrimonio culturale come eredità: “un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione”; a fronte di questo, ci sono le comunità di eredità (patrimoniali), cioè “l’insieme di persone che attribuiscono valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale e che desiderano, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future” (art.2). La Convenzione di Faro intende promuovere una comprensione più ampia del patrimonio culturale e del suo rapporto con le comunità, incoraggiando a riconoscere l’importanza degli oggetti e dei luoghi in ragione dei significati e degli usi loro attribuiti sul piano culturale e valoriale.
Proviamo a delineare a volo d’uccello una serie di elementi del patrimonio culturale che nelle comunità appenniniche possono rientrare nella definizione della Convenzione di Faro?
Tratturi – cammini – sentieri – eremi – chiese e chiese rupestri – castelli – torri – reperti archeologici – vite di santi – ruderi – battaglie famose – documenti di archivio – leggende – edicole votive – storie – reliquie – tradizioni popolari.
E molti, molti altri ancora.
Intorno ad ognuno di questi temi, si può riunire una comunità di eredità, una comunità consapevole del proprio patrimonio culturale. Il territorio di Cascia è uno scrigno prezioso ricco di tesori. Ancora in parte da scoprire.
Fare cultura non significa solo fare impresa ed economia, ma soprattutto generare la capacità negli individui e nella comunità di leggere il mondo (anche il proprio mondo) in modo critico e con intatto stupore. E di conseguenza, agire dentro di esso con naturalezza e sapienza.
Perché cultura non è solo guardare al passato, ma è soprattutto progettare il futuro.
Anche questo è Rockability.
Anna Rita Cosso
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