Dal Diario di Giannermete, una storia di cura

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IL DIARIO DI GIANNERMETE

Dopo la prima pagina pubblicata qualche settimana fa sul nostro blog, torniamo a sfogliare il Diario di Giannermete Romani, per leggere ancora una storia di cura.

Promuovere il movimento dei corpi attraverso gli spazi di vita quotidiana per muovere pensieri e emozioni, promuovendo salute fisica, psichica ed emotiva per tutti, includendo le persone fragili, pensando a figure di giovani in percorsi di consapevolezza (giustizia minorile, fragilità sociali etc.) che in veste volontaria possono accompagnare, specchiandosi nella fragilità dell’altro, altri soggetti fragili (es. anziani) a vivere l’esperienza, preparati attraverso opportune azioni educative. Accogliere tutti promuovendo l’incontro sui concetti di ‘abitante’ e ‘cittadino’, con uno sguardo alla funzione educativa dei luoghi, alle proprietà comunicative delle forme e degli spazi di vita. Cercando di far luce sul disagio sociale e sul deterioramento urbanistico e ambientale che crea un circolo in cui è difficile distinguere cause e effetti. Posando lo sguardo sui piccoli fenomeni, sulle ferite, su cicatrici e intoppi ma anche sui germogli e sugli slanci virtuosi per poi passare alla cura dell’ambiente urbano, alla progettazione dello spazio da abitare. Coinvolgendo i cittadini che incontreremo nell’immaginare processi di trasformazione e miglioramento. Partendo sempre da chi è portatore di conoscenze concrete e sensibili legate a un luogo (gli anziani, gli artigiani, i portatori di interessi vari) e alle sue specificità, ascoltando soprattutto i bisogni di chi è più a rischio perché è partendo da un tale punto di vista, quello dei diritti, che la comunità genera benessere e miglioramento della qualità della vita di tutti. Camminare tutti insieme per fare educazione attraverso l’ambiente, animati dall’idea che si fa sostanza che la cura delle persone passa attraverso la cura delle cose e del territorio. Camminare insieme per abbracciare tutto questo, interiorizzarlo, dargli forma e sostanza. Particolare attenzione vorremmo porre su come il territorio consuma, come si consuma il territorio, come si consuma nel territorio tutto ciò che l’attraversa: i beni e le vite. Al centro vorremmo mettere il cibo e le sue storie, i fatti e le metafore del nutrirsi. Le storie, come i cibi di cui ci nutriamo – dal latte materno, alle pappe, alle ricette gustose e sopraffine che ci accompagnano lungo la nostra vita – hanno sapori diversi: il dolce, il salato, l’acido, l’amaro. Sapori che si legano alle diverse vicende umane dei tanti popoli che abitano la terra, che sono stratificazioni culturali, geografiche, familiari, emotive. Il sapore del cibo è sempre condizionato da un valore e da una visione del mondo, l’essere umano non si nutre solo di cibo materiale ma si nutre anzitutto del significato che ogni cibo assume, delle storie e delle narrazioni che intorno a esso crescono. Il cibo ha valore identitario, condiziona le nostre vite, l’uomo in qualche misura è ciò che mangia, attraverso il cibo e i rituali ad esso connessi, si definisce il piacere di vivere, l’esistenza si ‘gusta’, la vita si ‘assapora’. In tutte le culture ci si incontra intorno alla tavola, il pranzo comune diventa un rito che affratella, mangiando ci si conosce, ci si racconta, si scopre ciò che ci accomuna e ciò che ci rende diversi l’uno dall’altro. Davanti alla tavola, intorno ad essa, nello spazio che comprende il fuoco, che serve a cuocere e a scaldare, a fare casa, intimità, spazio protetto, si narrano le storie, si tramandano parole, miti, filastrocche, proverbi, modi di dire, poesie. Un viaggio attraverso le storie, i cibi mangiati e narrati, le stagioni della semina, della cura, del raccolto e della trasformazione, i significati intorno ad essi stratificati. Per riflettere su quanto siano emotivamente prossime e preziose le storie dell’umanità che si nutre di cibo che rende più forte il corpo, scalda il cuore, fa volare la fantasia. Un viaggio vero e proprio a incontrare le persone e a farsi raccontare cosa si mangia, come, dove e con chi. Come si può redistribuire il cibo, non sprecare, valorizzare, garantendolo a tutte e tutti. Vorremmo innescare, con queste azioni, un processo del prendersi cura dello spazio vivendolo e riconoscendolo come proprio, come oggetto che diventa il soggetto del proprio intervento, in un paesaggio umano, urbano e naturale, dove si può star bene e comunicare. Dove si può essere pienamente se stessi, inclusivi e liberi da catene, falsi miti, stereotipi e dipendenze.

Giannermete Romani