Il diabete dei bambini e dei ragazzi l’abbiamo incontrato diciotto anni fa, lungo le strade che percorriamo nel nostro lavoro di educatori. Per dirla meglio abbiamo incontrato i primi bambini e ragazzi con diabete e subito ci hanno colpito le possibilità immense che insieme a loro si aprivano per sperimentare l’efficacia della medicina narrativa integrata al cammino. Da allora il viaggio è stato lungo e denso di esperienze, scoperte e occasioni per comprendere e accogliere la complessità e le tante sfaccettature di questa storia dalle molteplici versioni.
L’insorgenza del diabete, la necessità di diventare da subito attori esperti della sua gestione, generano nei bambini e negli adolescenti, in modalità diverse a seconda del momento che si sta vivendo, il bisogno di rivelarsi, di esprimere le proprie esigenze, i sentimenti legati alla nuova condizione. Lo stesso vissuto del bambino e del ragazzo, una volta condiviso, rappresenta per l’operatore sanitario un modo nuovo di riconoscere una storia che in parte già conosce, comprendendo meglio la persona e progettando insieme il percorso di cura.
Il diabete tipo 1 è una malattia dal forte impatto fisico e psicologico che richiede alla persona coinvolta la capacità di adattare la propria vita attraverso una riorganizzazione globale e complessa non solo della propria quotidianità ma anche della progettualità futura.
L’arrivo di questo “fulmine a ciel sereno“, la “rottura biografica” che il diabete rappresenta, la sua essenza cronica generano – soprattutto all’inizio e poi in un’età già di per sé critica quale è l’adolescenza – grandi sofferenze e stress emotivi che difficilmente trovano uno spazio per essere elaborati e superati all’interno delle strutture istituzionalmente preposte alla cura. Se da decenni ormai si parla di educazione terapeutica come di un supporto pratico e concreto per istruire i pazienti nella gestione e nella cura della malattia, molto di più si dovrebbe fare per aiutare e sostenere queste stesse persone nell’elaborazione interiore dei propri vissuti e delle emozioni legate a essa.
E’ ormai noto, infatti, come nella gestione di una malattia cronica la dimensione soggettiva influenzi e condizioni le modalità individuali di cura e l’andamento stesso della malattia.
Nell’ambito delle scienze pedagogiche, e a integrazione del tradizionale modello bio-medico, l’approccio narrativo–autobiografico si propone di aiutare la persona malata ripartendo dai vissuti e dalle narrazioni legate all’esperienza del diabete, realizzando così l’ideale di educazione terapeutica proposto accanto al percorso di cura della malattia cronica.
Per questo serve attrezzarsi, educarsi a una relazione di cura che si protrae nel tempo, per anni. Se c’è una chiave di possibilità è l’educarsi a esserci, perché ci chiamano in causa, perché ci sfidano a esserci. Esserci vuol dire saper stare dentro una relazione estremamente complessa ma per questo foriera spesso di risultati. Nel metterla in pratica si sperimenta un’ampia gamma di sentimenti, spesso frustranti: il saper accogliere il vuoto, la mancanza, il fallimento, il conflitto, senza cadere in crisi o meglio vivendo attivamente la crisi, come persone e come professionisti, imparando a leggere i significati di ciò che accade.
Tali significati possiamo rintracciarli praticando l’ascolto, dando valore alle storie, valorizzando, dentro le narrazioni personali, le peculiarità, i modi di essere, le diverse scritture e letture del mondo.
Il luogo più significativo per sperimentare tutto questo è diventato da tempo per noi lo spazio che si attraversa camminando. Sudando, scalando, scendendo, posandosi su una pietra, stendendosi su un letto di foglie secche a guardare il cielo. Tutti insieme, nessuno escluso. Coi sensi scoperti, in cerca di senso.
Ragazze e ragazzi con diabete e il gruppo dei curanti. In un mescolarsi di vite che tutto scompagina e a ognuno offre cura e accudimento. Occasioni per mostrarsi, dirsi, essere.
Camminare per prendersi cura di sé, degli altri che camminano insieme a noi, di tutte le forme di vita che si incontrano nel nostro andare.
Con Rockability, nel territorio di Cascia, stiamo sperimentando questo approccio, in un contesto che offre cornici e contenuti di senso, ricerca, accoglienza, inclusione, un prendersi cura degli altri e dei contesti di vita a ogni livello. Stiamo avviando progetti che vanno in questa direzione facendoci promotori di esperienze di co-housing dove si dà rilievo alla diversità, alla soggettività e alle qualità in esse contenute. Per conoscere i diversi modi di essere e andare insieme verso prospettive di benessere condiviso, verso pratiche da costruire partendo dall’esperienza che ognuno mette in circolo.
Giannermete Romani
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