La “pastorale della panchina” … per ascoltare gioie e inquietudini del cuore dell’uomo
Un santuario è la «casa di preghiera per tutti i popoli», afferma mons. Carlo Mazza. E quanti si incamminano verso di essi, fanno l’esperienza di salire al ‘monte santo’: “Li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saliranno graditi sul mio altare, perché il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli” (Is 56,7).
Nel salire i pellegrini si immergono in un’esperienza che afferra il profondo dell’anima, educa la loro sensibilità spirituale e aiuta a condividere le angosce e le speranze di altre migliaia di fratelli e sorelle che salgono al tempio del Dio vivente. E ciò accade anche qui a Roccaporena, dove tante persone ogni anno calpestano i luoghi di Santa Rita e la invocano a protezione della loro storia, della loro famiglia.
Spesso i pellegrini, a parte i membri dello stesso gruppo, non si conoscono tra loro e non tutti entrano in contatto diretto con i sacerdoti, i religiosi e i laici che svolgono servizio in santuario. È difficile conoscerli tutti per nome, come accade invece in parrocchia, ma siamo accomunati comunque dalla stessa fede, dalla stessa speranza e dalla stessa carità, tutti mendicanti della misericordia di Dio. Quando però l’incontro col pellegrino avviene, prima di una celebrazione, nel confessionale o nelle strade intorno al santuario, si percepisce in questi fratelli e sorelle l’azione di Dio per tramite del santo o della santa che venerano, nel nostro caso Rita.
Vorrei condividere con voi, cari lettori, un’esperienza che ho vissuto qui a Roccaporena, in particolar mondo nel periodo estivo.
Spesso mi fermo a sedere sulle panchine che circondano il portico del nostro santuario di Roccaporena, avendo così la possibilità di avvicinare tante persone e attuando così una pastorale occasionale che ho definito la “pastorale della panchina”. Occasionale, ma molto profonda. Ho avuto modo di incontrare tante giovani famiglie, molte con due o tre figli, e diverse con bambini in difficoltà: si sono avvicinate, hanno chiesto la benedizione e soprattutto gli stessi bambini mi hanno coinvolto con i loro giochi. Commoventi i momenti vissuti con alcuni bambini down, anche molto piccoli. Attraverso il loro sorriso e i loro gesti semplici ed estemporanei hanno catturato la mia attenzione e da lì è nato un colloquio con i genitori.
Ricordo, ad esempio, un bimbo di Roma di tre anni e mezzo che era interessato alle chiavi che avevo in mano. Le ha prese e ci giocava seduto accanto a me. Il padre mi ha detto: «Sicuramente gliele tira in faccia». E invece non è accaduto. La madre nel frattempo è salita all’orto del miracolo e ha chiesto a Santa Rita il dono di un altro figlio. Il padre ha concluso dicendo: «Per noi caro don Canzio questo ragazzino è una grazia». Che bello!!
E poi come non ricordare tanti incontri con persone adulte, chi con problemi familiari, chi con relazioni interrotte da tempo, pur vivendo ancora sotto lo stesso tetto: vedendo un sacerdote si sono confidati, hanno chiesto consiglio su come poter essere aiutati. Ho detto loro che anche santa Rita quando era sposata ha sofferto per mantenere unita la famiglia, ha pianto e le sue lacrime e preghiere sono state esaudite. A tutti ho proposto che prima di abbandonare tutto è necessario provare ad avere fiducia e a credere nell’altra persona. Chiaramente ho suggerito anche di farsi seguire come coppia da un sacerdote della loro zona.
Poi, una famiglia di Bergamo: il ragazzo, su una sedia a rotelle, stava davanti ad un negozio a vedere dei giocattoli. Io tornavo dalla casa natale. Mi ha chiesto: «Come ti chiami?». E io: «Don Canzio, sono il sacerdote». Con i genitori abbiamo parlato e mi hanno confidato il momento difficile vissuto dalla città di Bergamo durante la prima ondata di coronavirus. Mi hanno confidato che era la loro prima volta a Roccaporena e a Cascia: avevano tanto sentito parlare di santa Rita e sono venuti per incontrarla. «Che luogo di forte spiritualità. Torneremo!».
Un giorno, ero sempre seduto su una delle panchine e si avvicina una signora di Matelica (MC) con il marito e un bambino sul passeggino e mi dice: «Padre, l’ho visto quando recitava il rosario su Facebook, può darci la benedizione»?
Un’altra famiglia del sud, non ricordo di preciso da dove venga: il marito mi ha riconosciuto da lontano, si è girato, ha chiamato la moglie e le ha detto, «Eccolo, andiamo a salutarlo». Sono venuti e lei ha raccontato: «Due anni fa siamo entrati qui nel santuario di Roccaporena dopo un matrimonio e abbiamo trovato a terra un rosario. Io sono venuta da lei per restituirlo, e mi sono sentita dire: lo prenda e lo dica tutti i giorni. Da quella sera non ho trascorso un giorno senza recitare il rosario».
È bello essere riconosciuti, ma soprattutto è bello vedere l’opera del Signore nelle persone che, a volte, passa anche dalle nostre persone: “Lodate il Signore, perché il Signore è buono: cantate inni al suo nome perché è amabile” (Sal 134).
Concludo dicendo che questa esperienza della “pastorale della panchina” può essere un’occasione utile – in aggiunta chiaramente alla celebrazione eucaristica, al sacramento della riconciliazione e ad altre funzioni religiose che sono i perni di un santuario – per risvegliare il senso cristiano che le persone hanno dentro e che sembra dormiente. Questo incontrare le persone nelle strade di Roccaporena, stando seduti su una semplice panchina, è stata una profonda scuola di formazione per il mio ministero sacerdotale.
Don Canzio Scarabottini, Pro-Rettore del Santuario